Tecnologia e umanità: un sottile equilibrio in oncologia
Intervista a Elena Barbieri, oncologa presso il Policlinico di Modena
Cosa ti ha ispirata a diventare un’oncologa e come hai modellato il tuo lavoro all’interno del contesto di continuum of care sul trattamento dei pazienti?
L’ispirazione a diventare oncologa è nata durante il liceo. Ero particolarmente interessata alla biologia e mi interessava capire di più del tumore, di queste “cellule impazzite”, capire come mai ad un certo punto si differenziassero e provocassero una malattia così grave. Crescendo ho capito che oltre alla biologia mi interessava fortemente anche stare vicino alle persone in un momento molto difficile della loro esistenza e poter essere di supporto ai pazienti, ma anche ai loro familiari, per tutta la durata del periodo di cura. Penso che tutto questo sia stato motivato anche dalla mia storia familiare, ho perso la mia amata nonna paterna a 12 anni a causa di un tumore delle vie biliari e in quel momento ho pensato che “da grande” avrei potuto fare qualcosa per dare supporto a chi si trovava nella mia situazione.
Nella mia attività professionale mi sforzo ogni giorno di garantire le migliori cure alle persone che si affidano a me, ma cerco anche di essere il più possibile presente in ogni fase della malattia, portando avanti quel concetto di vicinanza professionale ed emotiva di cui parlavo in precedenza.
Con così tanti attori coinvolti – medici e fornitori, come fai a garantire un’assistenza costante e coordinata per i pazienti?
In questo contesto è importantissima la multidisciplinarietà o, come preferisco definirla, l’interdisciplinarietà: condividere il percorso di cura con tutti i professionisti coinvolti, ognuno con la propria competenza che andrà ad integrare quella dei colleghi. È fondamentale il dialogo tra i professionisti e i fornitori, la condivisione di strumenti informatici e di un linguaggio comune che non perdano di vista il paziente e la sua famiglia che sono sempre il centro del nostro operato.
Ci sono state recenti innovazioni, magari sviluppate da aziende sanitarie, che hai notato come particolarmente efficaci nel migliorare la diagnosi e il trattamento del cancro?
Assolutamente. I test genetici e i test genomici hanno cambiato radicalmente l’oncologia. Non si parla più di tumore della mammella o del polmone, ad esempio, ma di tumori della mammella e del polmone in quanto ogni malattia ha caratteristiche differenti. L’innovazione sta permettendo sempre di più di distinguere e di caratterizzare le varie patologie e di individuare nuovi bersagli terapeutici sui quali costruire nuovi farmaci efficaci. Adesso siamo in grado, a seconda delle diverse caratteristiche biologiche delle patologie, di personalizzare il percorso di cura fornendo il farmaco più efficace al paziente in quel preciso momento del suo percorso. E fino a dieci anni fa tutto questo era fantascientifico.
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale e dell’apprendimento automatico in campo oncologico, come pensi che queste innovazioni cambieranno il futuro della medicina? Ci sono altri sviluppi che ti entusiasmano che vedi come promettenti nel settore?
Sono confidente che ci saranno ulteriori passi avanti anche nel settore diagnostico e che le nuove tecnologie ci porteranno a scenari ad oggi imprevedibili. Sempre senza perdere di vista il fattore umano. Credo anche molto nell’importanza della prevenzione e degli stili di vita. Un corretto stile di vita permette di abbassare il rischio di contrarre malattie oncologiche, ma non solo, e la prevenzione intesa come diagnosi precoce è fondamentale per intervenire precocemente sulla cura della patologia impedendone lo sviluppo. In questo campo dobbiamo molto anche alla scoperta di fattori genetici ereditari e trasmissibili che aumentano il rischio di contrarre patologie oncologiche: conoscere questi fattori permette a ogni persona di decidere e di scegliere in merito alla propria salute e alla propria vita.