Oltre la terapia: l’umanità in oncologia

Intervista a Chiara Arcangeli, infermiera del Dipartimento di Oncologia del Sant’Orsola di Bologna

Ogni giorno incontro donne che con la loro forza e il loro coraggio mi insegnano tanto”. Per Chiara Arcangeli, infermiera del Dipartimento di Oncologia del Sant’Orsola di Bologna, esiste un rapporto speciale infermiere-paziente che diventa unico quando ci si apre all’ascolto dell’altra. L’infermiere è il punto di riferimento dell’intero percorso ed è in grado di aggiungere il valore dell’umanizzazione alla personalizzazione delle cure.

Cosa ti ha ispirata a diventare infermiera, in particolare nel campo della cura contro i tumori femminili?

La mia ispirazione a diventare infermiera nasce come una vera e propria vocazione, non mi piace affatto definirla tale, ma così è stato. Ero iscritta al primo anno di un corso triennale di fotografia quando, un improvviso e inaspettato problema di salute di una mia carissima zia – la mia seconda mamma – mi ha costretto a frequentare una “freddissima” sala di rianimazione. All’improvviso, mentre le stringevo la mano, ho capito che quello doveva essere il mio futuro professionale.
Negli anni e nelle varie città, di concorso in concorso, ho prestato servizio in tanti reparti e il mio desiderio più grande era quello di continuare ad essere un’infermiera di area critica. Poi, per puro caso, mi mandarono a sostituire nel Day Hospital oncologico una collega in malattia: era il 2010 e, ad oggi, non ho mai pensato di cambiare; complici le donne che ho incontrato in questi anni che con la loro forza e il loro coraggio mi hanno insegnato tanto.

 

Potresti descrivere una giornata o una settimana tipo del tuo ruolo, evidenziando gli aspetti più gratificanti e le sfide più comuni del lavoro con le pazienti in questo ambito?

Nella mia giornata tipo, come infermiera di Day Hospital oncologico, attuo una presa in carico delle pazienti che va dall’accoglienza fino all’erogazione di tutte le prestazioni sanitarie necessarie. L’infermiere diventa il fulcro e il punto di riferimento di tutto il percorso: dalla somministrazione delle terapie alla gestione dei suoi effetti collaterali ed eventuali complicanze correlate, dalla valutazione del patrimonio venoso alla definizione del percorso che le pazienti dovranno effettuare. Tutte azioni che potremmo definire “standardizzate”, frutto della nostra formazione ed esperienza, alle quali mi piace aggiungere il valore dell’umanizzazione e della personalizzazione delle cure che garantiscono la creazione di un rapporto infermiere-paziente davvero unico e speciale.
Credo che l’aspetto più gratificante sia quello di avere la possibilità di entrare nella vita di queste donne in una fase così delicata, sta a noi metterci in ascolto e dare il supporto per trarne forza e coraggio.
La difficoltà più grande quella di far parte di un gruppo multiprofessionale dove non tutti si mettono in ascolto.

 

Come collabori con gli oncologi e gli altri operatori sanitari e come informi le pazienti sulle ultime terapie adottate e le innovazioni per garantire un’assistenza ottimale?

Per la gestione delle pazienti oncologiche in Day Hospital la collaborazione tra le varie figure professionali dovrebbe essere un ingranaggio perfetto. Le prime informazioni riguardanti i farmaci vengono fornite dai medici, noi infermieri integriamo con la descrizione dettagliata degli eventuali effetti collaterali e le varie raccomandazioni per cercare di controllarli.

 

Oltre al supporto medico, come aiuti le pazienti ad affrontare gli aspetti emotivi e fisici del loro percorso? Ci sono risorse o servizi specifici che consigli più di frequente?

Come detto in precedenza credo che l’umanizzazione delle cure faccia la differenza e mettersi in ascolto aiuta le pazienti a sentirsi meno sole. Va comunque ricordato che non siamo psicologhe e va sempre consigliato il supporto della nostra psicologa di riferimento.

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