Il ruolo del digitale nella strategia One Health

A cura di Simona Lissemore

La cosiddetta One Health, ovvero il modello olistico per cui si considera la salute umana non come un sistema a sé stante ma strettamente correlato e impattato dagli ecosistemi animale ed ambientale, ha ripreso forte slancio ed è tornata al centro delle scene con l’inizio della pandemia, quando è stato evidente come, per tenere sotto controllo la salute mondiale, fosse di cruciale importanza occuparsi anche della salute del mondo animale e dell’ambiente, evitando nuovi rischi pandemici causati da zoonosi, infezioni alimentari, antibiotico resistenza.

L’OMS nel 2021 ha quindi raccomandato le Organizzazioni mondiali di iniziare a cooperare per giungere alla definizione di una strategia One Health, un’unica salute che coinvolge i tre sistemi, umano, animale e ambientale: senza uno dei tre elementi non può esservi benessere per gli altri due. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l’Organizzazione mondiale per la salute degli animali (WOAH) hanno quindi dato vita al One Health Joint Plan of Action (2022–2026) giungendo, a fine 2023, a pubblicare il One Health Joint Plan of Action at national level con indicazioni ai singoli Paesi per implementare un piano strategico nazionale su One Health. Il paradigma ha dunque iniziato ad essere presente nelle agende politiche e negli obiettivi governativi – la scienza, a dire il vero, non lo ha mai abbandonato e ne ha sempre riconosciuto una estrema importanza – fino ad arrivare al G7 Salute di quest’anno, sotto la Presidenza italiana.

Anche l’Italia, all’interno della cornice del PNRR, ha definito una riforma inserita nella Missione 6 salute dedicandola interamente alla One Health. Tuttavia, a tre anni dal lancio del piano e a due dalla fine, nel concreto si è fatto poco.

Non è sicuramente facile promuovere l’interazione e la convergenza di tre sistemi (salute umana, animale e ambiente) che hanno storicamente avuto una propria autonomia decisionale e organizzativa. In Italia essi sono governati e monitorati da numerosi e diversi enti e strutture, operanti a livello centrale, regionale e locale. Non è nemmeno facile integrare basi dati e informazioni numerose, con caratteristiche diverse, al fine di ottenere KPI e parametri che possano essere rappresentativi dello stato di salute complessivo e dei rischi di eventuali incidenti ambientali o trasmissioni di malattie. Tuttavia, è essenziale intraprendere con convinzione questa strada di convergenza e di condivisione di obiettivi per superare l’attuale visione a silos. In questo il digitale, ancora una volta, rappresenta il fattore abilitante per rendere interoperabili i dati, analizzare e interpretare le correlazioni tra fenomeni, creare sistemi di monitoraggio e alert, sviluppare scenari e analisi predittive.

In Dedalus crediamo sia arrivato il momento di investire con convinzione in questa direzione, che non solo è necessaria ma è l’unica applicabile se si vuole fare attività di prevenzione sulla salute globale, anticipando ed evitando malattie ed epidemie che possono avere effetti letali devastanti, in particolare sulle parti di popolazioni più vulnerabili e generare circoli virtuosi in cui il buono stato di salute di ciascun ecosistema si riflette sul benessere della collettività.

Simona Lissemore

Sales & Marketing Enablement Manager

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