La Stampa, intervista a Massimo Angileri, Ora la Sanità ha bisogno dell’hi-tech: il futuro è la digitalizzazione

Ora la Sanità ha bisogno dell'hi-tech "Il futuro è la digitalizzazione"

I prossimi scenari secondo Massimo Angileri, general manager di Dedalus Italia
“Dalle cartelle cliniche online alla telemedicina, ecco le opportunità per i pazienti”

Una rivoluzione a metà. È così che si può definire il lento processo di metamorfosi della Sanità italiana da «analogica» a digitale. Iniziata circa 20 anni fa, e per lungo tempo arenata nelle logiche della «carta», la digitalizzazione del sistema pubblico ha ripreso nuovo vigore, risorgendo dalle ceneri della pandemia. Sarà questo uno dei temi al centro del talk intitolato «La tecnologia che semplifica la vita», in programma il 21 ottobre durante il Festival di Salute organizzato a Roma dal Gruppo Gedi.
«L’emergenza Covid-19 – spiega Massimo Angileri, general manager e ad di Dedalus Italia, il principale fornitore di software clinici e diagnostici in Europa e uno dei maggiori nel mondo – ha fatto emergere con forza le fragilità del nostro sistema sanitario e il bisogno di cambiamento dinanzi a un aumento della domanda di salute, trainata da una popolazione che cresce e invecchia». La vera rivoluzione, quindi, non si può limitare al mero passaggio dei dati sanitari dei cittadini dal cartaceo al digitale, ma necessita di profondi cambiamenti nei processi con cui si rendono le informazioni cliniche e sanitarie utilizzabili da sistemi diversi, nazionali e internazionali.
In questo settore l’hi-tech si è evoluto più velocemente della cultura medico-sanitaria. «Le tecnologie hanno dimostrato di poter incidere nell’evoluzione dei processi clinici, ma per esprimere al massimo le loro potenzialità è necessario un ripensamento strutturale nel modo di gestire i dati e la sanità in generale – sottolinea Angileri, ospite del panel del Festival -. Siamo, per esempio, abituati a cartelle cliniche che riportano ogni singola informazione su uno specifico episodio, ma non tengono conto dello storico del paziente. Ma la verità è che tutte queste informazioni non sono necessarie e, in quanto non standardizzate, possono, anzi, ostacolare l’interoperabilità tra diversi sistemi. «Per aiutare davvero un paziente servono i dati clinici fondamentali, facilmente accessibili e condivisibili, così da creare una rete che connetta i pronto soccorso, i medici dimedicina generale, gli specialisti, gli infermieri, chi fornisce assistenza domiciliare e il paziente», aggiunge Angileri. Tutti gli attori, e in primis i produttori di software medicali, devono imparare a parlare una lingua comune. «Serve una standardizzazione dei processi, ma anche della terminologia per rendere fruibili i dati del paziente: è una realtà su cui l’Ue sta lavorando».
Il processo di standardizzazioneè già molto avanti. «Le normative europee — continua Angileri – impongono che i software clinici siano certificati come un qualunque dispositivo medico. Lo scopo è garantire le migliori cure al paziente e la riduzione del rischio clinico, con forti benefici per l’intera organizzazione sanitaria».
Oltre al «fascicolo sanitario 2.0», pensato come strumento di raccolta dei dati clinici dei cittadini, serviranno investimenti in tecnologie in grado di migliorare la qualità delle cure e allo stesso tempo l’efficienza del sistema sanitario stesso. «Le televisite e i teleconsulti, a cui si è ricorso con successo durante la pandemia, sono strumenti essenziali per portare la medicina più vicina al paziente» – sottolinea Angileri -. Le risorse messe a disposizione dal Pnrr saranno fondamentali per migliorare la medicina territoriale e la telemedicina giocherà un ruolo determinante». La tecnologia sarà, quindi, la via per liberare i medici e i pazienti dalle barriere fisiche che spesso li allontanano e sarà il mezzo per garantire cure e assistenza 24 ore su 24, senza la necessità di affollare gli ospedali. «Abbiamo gli strumenti che consentono di seguire i pazienti a distanza in modo efficace, di misurare e monitorare costantemente una serie di parametri vitali, di verificare l’efficacia e l’aderenza terapeutica senza la necessità che il paziente raggiunga fisicamente il medico o viceversa».
Fondamentale, comunque, sarà la possibilità di disporre di professionisti che sappiano governare la rivoluzione. Uno scenario tutt’altro che scontato. E’ significativo uno studio del Politecnico di Milano: ha evidenziato che il ricorso a servizi di telemedicina strutturati – come la televisita con lo specialista, la teleriabilitazione e il telemonitoraggio dei parametri clinici – sia sfruttato di rado, tra il 5 e l’8% dei casi. Il motivo? Solo il 60% dei medici possiede sufficienti competenze digitali di base e solo il 4% ha un livello soddisfacente di «saperi» digitali professionali. «Bisogna, quindi, accelerare sulla cultura della digitalizzazione – conclude Angileri -. Tecnologie e dati ci sono, ma per usarli servono volontà, formazione e dialogo che eventi come il Festival di Salute possono stimolare»

Source: lastampa.it

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